Scappo dal mondo e vado a vivere nella natura

Vi siete sentiti pronunciare frasi tipo “Vorrei una vita meno frenetica!”, “Basta, vado a vivere in campagna!”, “Voglio più tempo per me stesso”, “Vorrei produrre da solo il mio cibo” o “Scappo dal mondo e vado a vivere nella natura”?

Forse le abbiamo dette o forse le abbiamo sentite da amici o consorti. E’ normale per chi vive in città e dedica ore al lavoro in ufficio, ore immerso nel traffico, ore da dedicare alla spesa e ad altre innumerevoli commissioni.

Si arriva ad un certo punto e sembra che le nostre giornate siano scandite solo dal lavoro e dallo spendere ciò che si è guadagnato. Eppure è considerato normale! Lo fanno tutti! O, almeno, lo fanno la maggior parte delle persone attorno a noi, soprattutto per chi vive in grandi città.

Le aziende richiedono sempre più presenza e dedizione, si aspettano un investimento quasi totale del tempo e delle energie dei propri dipendenti e, a incentivare una sorta di ricatto psicologico nel quale chi non mette il lavoro e l’abnegazione per la propria azienda al primo posto, c’è la penale di diventare un dipendente di serie B.

Il cellulare deve essere sempre acceso, anche fuori dall’orario di lavoro, anche nei giorni di festa, il sabato, la domenica e, talvolta, anche in ferie! Le mail si controllano in tempo reale, anche la sera da casa. Tra i dipendenti è facile che si generi una “gara” a chi è più presente, più disponibile, più efficiente…disposto a sacrificare una parte sempre maggiore della propria vita privata per il miraggio di una crescita professionale. La tanto ambita carriera.

Un aspetto insostenibile del lavoro è la pressione esercitata a livello inconscio o anche esplicito. Un impiegato che vede il proprio dirigente fermarsi tutti i giorni un paio d’ore oltre l’orario di lavoro si renderà conto come questo comportamento diventi col tempo una legge non scritta per la quale, tutti quelli che ambiscono a fare carriera o a vedersi confermato il posto di lavoro, si devono fermare oltre l’orario stabilito (ore spesso non retribuite). Se non lo fanno si sentiranno inconsciamente in colpa (verso la propria carriera e/o verso l’azienda).

Questa pressione psicologica è molto diffusa e spesso si aggiungono pressioni esplicite: obiettivi da raggiungere, competenze da approfondire, target di vendita, ecc. Alcuni se ne preoccupano come se da questi obiettivi dipendesse la propria esistenza con la conseguenza che, poco per volta, demoliscono la propria vita al di fuori dell’azienda.

Quanto è sostenibile questo tipo di vita?

Certamente per alcuni lo è; sicuramente ci sono persone che mettono al primo posto il lavoro in azienda o la libera professione. Il lavoro genera soddisfazione e gratificazione per la quale diventa possibile sacrificare la vita privata o gran parte di essa.

Per tanti altri però è diventato un modo di vivere triste, gravoso, poco soddisfacente, asfissiante. Si sentono vincolati a questa vita da doveri lavorativi, familiari e di sostentamento e cercano di sopravvivere e alleviare il disagio con vacanze e divertimenti spesso costosi e poco duraturi.

Se la vita che preferite di più è quella delle giornate passate a passeggiare nei boschi, a fare cavalcate in riva al mare…forse è il momento di riflettere sulla direzione presa dalla vostra vita e, magari, invertirla.

Se vi trovate a leggere questo articolo, a riflettere sulla non sostenibilità della vita che richiede ore nel traffico, in ufficio e nel correre a fare commissioni, allora siete già usciti dal gruppo che ritiene normale e accettabile tutto ciò.

Cosa fareste se, improvvisamente, aveste le ore che passate in un giorno nel traffico o sul treno da pendolare libere? Libere per fare ciò che desiderate, per vivere? Potreste avere uno stile di vita più sostenibile che avrebbe eco anche sul resto della vostra vita. Che sia un’ora al giorno, due ore o l’intera giornata, il ragionare su cosa si intende per stile di vita sostenibile è il primo passo per il cambiamento.

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