PER Cristo CON Cristo

Nella Messa vi è un’espressione fra le più ricche di contenuto teologico e spirituale, e anche, d’altra parte, una delle più importanti; questa espressione ci insegna quella che è la vita spirituale, la
nostra medesima vita, ci insegna come dobbiamo viverla e per quale fine dobbiamo viverla.
“Per Cristo con Cristo ed in Cristo, è a Te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito
Santo, ogni onore e gloria”.

divo barsotti

Termine della Messa e di tutta la vita: ogni onore e gloria al Padre nell’unità dello Spirito, ma per la
mediazione del Cristo. Per Cristo, con Cristo, in Cristo.
Non voglio tanto parlare di questo fine ultimo della vita spirituale, che è la gloria di Dio – questo fine è implicito già nella mediazione del Cristo, perché il Cristo è mediatore precisamente in quanto ci porta al Padre -; non voglio nemmeno spiegare le parole “nell’unità dello Spirito”: anche la verità che è contenuta in esse è implicita nella mediazione del Cristo.

Come dobbiamo vivere la nostra vita cristiana?

Ora vediamo proprio nell’espressione del Canone che cosa importi il nostro vivere una vita soprannaturale, che sia veramente di gloria al Padre nell’unità dello Spirito. Importa che noi viviamo per nostro Signore, con nostro Signore, in nostro Signore. Le espressioni sembrano indicare anche un progresso dell’anima nell’unione col Cristo, sembrano implicare una mediazione del Cristo
che diviene sempre più intima per colui che si rivolge a Dio.

Che cosa implica prima di tutto? Che cosa esige? Esige un ordinarsi dell’uomo a Dio. Ma l’ordinarsi dell’uomo a Dio può avvenire senza la grazia divina? Senza la mediazione del Cristo?
Non può avvenire. Come vivere questa mediazione del Cristo? Ed ecco le parole del Canone: “Per Cristo, con Cristo, in Cristo”.
Vivere la nostra unione con Dio implica vivere un rapporto sempre più profondo con Gesù Signor nostro, implica che noi viviamo un rapporto di amore sempre più profondo con Lui; che tutto
quanto noi facciamo e viviamo, prima di tutto lo facciamo per Lui, per suo mezzo, per la grazia che ci viene da Lui, che Lui ci ha meritato. Il “per” non è finale: noi viviamo per il Padre, il fine di tutta la vita è Dio, il Padre Celeste.

PER CRISTO

“Per Christum” non vuol dire che si vive per nostro Signore, ma che si vive per mezzo di nostro Signore. Tutta la nostra vita intanto è soprannaturale, è una vita veramente di grazia, in quanto trae la sua forza divina dal Cristo: è per mezzo del Cristo che noi viviamo rivolti al Padre Celeste. Ma non si vive rivolti al Padre Celeste che se viviamo col Cristo, oltre che per mezzo di Lui.

Sarà perfetta la nostra vita soprannaturale quando vivremo per il Padre Celeste essendo nel Cristo, una cosa sola con Lui, talmente uniti al Cristo da essere identificati in qualche modo a Lui stesso.

Il progresso della vita spirituale sta precisamente in queste tre piccole preposizioni: per, cum, in. Tutto il progresso sta qui: e certo non si vive una vita soprannaturale se prima di tutto non cerchiamo di vivere per mezzo della grazia che il Cristo ci ha meritato e ci dona. È per mezzo di questa grazia divina che la nostra vita può essere soprannaturale, meritoria: glorificare Dio e salvarci.

Ma non è sufficiente. Non dobbiamo vivere una vita soprannaturale soltanto PER la grazia che il Signore ci concede. Tanto più vivremo di grazia quanto più saremo uniti alla sorgente, all’autore della grazia, che è Cristo. Allora, non soltanto per mezzo di Cristo, ma CON Lui dobbiamo vivere la nostra vita soprannaturale. S’impone una comunione continua con Gesù, in tal modo che non soltanto viviamo per mezzo di Lui, ma che la nostra vita sia vissuta in un’unione sempre più profonda con
Gesù.

E quando questa comunione è veramente profondissima, allora non siamo più che una cosa sola con Lui: è il Cristo stesso che vive in noi, come noi viviamo IN Lui.

Noi saremo in Lui ed Egli sarà in noi, così come Egli ha detto nel discorso dopo la
Cena: “Rimanete in me ed io in voi” (Gv 15,4). In: ecco la perfezione della vita cristiana: essere uno nell’altro, per una certa unità di vita; certamente nell’unità dello Spirito, perché Gesù ci ha dato
il suo Spirito.

Come vivere per mezzo della grazia?

Come vivere questa comunione continua con Gesù, l’essere noi in Lui, vivere con Lui una medesima vita nell’unità dello Spirito? Ecco il problema.
Bisogna non parlare di cose astratte. Non si pone il problema in modo da poterlo risolvere soltanto sul piano speculativo; si pone il problema di vedere come la mia vita ordinaria – alzarmi, vestirmi, far colazione, andare a far la spesa, ritornare a casa, mettere a posto la casa, andare in ufficio, vivere la mia professione nella scuola, nel negozio, tornare a mangiare, andare a riposare, fare la passeggiata… – come tutto questo io possa viverlo per Cristo, col Cristo ed in Cristo.

Vedere come nella concretezza della nostra vita si possa, si debba realizzare sempre più coscientemente e liberamente la mediazione del Cristo: ecco il problema concreto che dobbiamo
risolvere, perché è il problema della nostra vita. Non è un problema astratto: noi vi siamo impegnati concretamente; ed è certo che non vivremo mai una vita soprannaturale, se non vivendo la nostra povera vita; non una vita soltanto sognata, ma proprio quella che viviamo.

La mattina vi alzate dal letto, vi vestite, prendete il caffè, poi mettete a posto la cucina o la camera… è questa la vostra vita. Come viverla? Dovete vivere in casa la mediazione di nostro Signore, non mettere fra parentesi la vita reale. È attraverso questa vita vera, reale, che dobbiamo farci santi: altrimenti non ci faremo mai santi! È inutile pensare a una santità che prescinda da quelli che sono gli atti comuni della nostra esistenza. La nostra esistenza è fatta così e noi dobbiamo santificarci precisamente attraverso le azioni comuni, ordinarie, che del resto facevano anche i santi. Anche i santi si alzavano da letto – a meno che non stessero sempre alzati -, e anche i santi mangiavano e andavano a spasso.
La prima domanda che ci si fa è questa: è possibile che cose così estremamente lontane possano invece avere un rapporto tra loro? Che la nostra vita così misera possa avere un rapporto con nostro Signore, con Dio? Quale rapporto ci può essere? Io penso che un rapporto con Dio esigerebbe che andassi nel deserto, che vivessi chissà quale vita, fossi continuamente in estasi o almeno in preghiera.

La prima difficoltà è proprio questa: ci è difficile accettare che possa esservi un rapporto fra la nostra vita comune, estremamente ordinaria, e Dio

Quando pensiamo di divenire santi, non ci viene fatto di pensare ad una nostra santità che si concreta nell’alzarsi da letto, nell’andare a fare la spesa…
Ci viene spesso di pensare che la santità si concreta nel pregare di più, nel far penitenza, magari nel fare grandi carità… Ma sono atti, questi, non di tutti i giorni. Provatevi a far la carità dando
50.000 lire a ogni povero: rimarrete senza soldi voi per provvedere alla casa, probabilmente. Se la vostra santità consistesse soltanto nel moltiplicare le preghiere dovreste lasciare i vostri bambini
senza mangiare. Sarebbe una santità sbagliata, se voi la legaste a degli atti che non possono esser comuni, ad atti che sarà bene che ci siano, ma che non potrebbero mai essere il tessuto della nostra
vita. Non si escludono, questi atti: un atto di generosità verso un povero che ha bisogno, un grande atto di pazienza, magari anche eroica, nella sofferenza che viene. Ordinariamente noi dobbiamo legare la santità a cose molto più semplici, più ordinarie, più comuni. Non sempre abbiamo i poveri a portata di mano, anche ammesso che abbiamo sempre soldi in tasca; non sempre ci è possibile vivere nella preghiera senza sottrarci agli altri doveri: dobbiamo ascoltare uno che ci parla, uno che ci domanda che ore sono… non si può stare lì a pregare, bisogna rispondere, è chiaro!

Ora, che rapporto vi è tra queste azioni così ordinarie, così banali, le azioni di tutti, e la santità? Ecco la prima difficoltà che pone l’uomo e anche la prima risposta sbagliata che si dà: “Se la santità non consiste anche in queste cose, allora io non posso esser santo, perché, in fondo, molto della mia vita si svolge attraverso questi atti”. Oppure: “Io voglio esser santo: perciò trascurerò i miei doveri ordinari per lavorare in parrocchia dalla mattina alla sera”. Oppure: “La santità consiste nella preghiera”, e allora pregherai dalla mattina alla sera, anche in questo caso trascurando i tuoi doveri. “Consiste nel fare grandi carità”, e farai mancare magari il necessario ai tuoi. “Consiste nella mortificazione”, e comprometterai la tua salute col metterti cinque cilici addosso e col mangiare soltanto una patata al giorno come il Curato d’Ars. Si passa da un eccesso all’altro. O si rinunzia alla
santità, oppure, impegnandosi in una santità sbagliata, si trascura il nostro dovere
. La santità non può consistere in questo: le risposte che noi ci siamo date non possono essere giuste.
Bisogna che vi sia un rapporto fra la vita ordinaria comune e la santità. Ora, come è possibile che vi sia qualcosa in comune? La santità non è forse la vita stessa di Dio? Ma ecco la cosa meravigliosa, una delle più stupende del Cristianesimo:

Dio si è fatto uomo ed ha vissuto la tua medesima vita!

E’ vivendo proprio la tua vita umana che puoi vivere l’unione anche più intima con Lui. Dio non ti sottrae alla vita umana, poiché Egli stesso si è fatto uomo e ha vissuto prima di te la tua medesima vita. Non sei tu che Lo cerchi, non sei tu che superi l’infinita distanza che ti separa da Dio per giungere a Lui: è Lui che ha superato questa infinita distanza che Lo separava da te, e si è fatto tuo compagno, tuo amico, tuo sposo. E’ venuto nella tua casa, ha voluto accettare l’invito alla tua mensa, ha mangiato alla tua stessa tavola; ha camminato con te per le vie del mondo; ti ha parlato, ti ha ascoltato, lungo le strade, ai crocicchi delle vie. Tu L’hai potuto vedere, L’hai toccato con le tue mani. Come te Egli si è alzato, si è vestito, ha mangiato, si è riposato, si è messo a sedere sull’orlo del
pozzo; come te ha sentito la stanchezza e la fame. Come te: ecco la vita di Dio. Forse che Gesù, vivendo la sua vita umana, cessava di essere Dio? Forse che la sua vita, pur essendo la tua medesima
vita, così comune e ordinaria, cessava di essere la vita di un Dio? Noi possiamo vivere la santità, la vita spirituale, questa unione con Dio, questo totale ordinarci al Padre per essere la sua gloria,
e tutta la sua gloria in nostro Signore, vivendo la nostra umile vita.

Non abbiamo nulla da rimpiangere: non ci è sottratto nulla, impedito nulla. Se per essere santi fosse necessario essere sacerdoti, i laici dovrebbero rinunziarvi; se per me volesse dire esser Papa, ci dovrei rinunziare; se per esser santi fosse necessario fare opere grandi o nella carità o nella mortificazione, molti di noi dovrebbero rinunciarvi. Ma Gesù non ha fatto nulla di tutto questo. I santi l’hanno fatto, magari, e sono più inimitabili di nostro Signore. Se leggete la vita dei santi voi dite: “Ma questo
non è per me!”. Se leggete il Vangelo vi trovate a vostro agio. Si trova a suo agio qualunque anima nel leggere la vita del Signore!

Egli è vissuto sul piano di tutti noi.

I bambini potevano correre a Lui, e correvano a Lui anche le donne perdute; i peccatori si sentivano suoi amici e fratelli, e così pure gli Apostoli, rozzi e imperfetti come erano. Tutti. Ed era Dio!

Noi dobbiamo imparare a vivere la nostra vita religiosa, la nostra vita spirituale, precisamente in questa unione con Cristo. Unione, che prima di tutto vuol dire vivere per mezzo della sua grazia, ma poi vuol dire vivere in compagnia di Gesù. Perché, certo, si può vivere per mezzo della grazia di nostro Signore anche senza pensare attualmente a Lui, ma non si vive la nostra comunione col Cristo se non si vive anche per mezzo della sua grazia. Vivere dunque con nostro Signore è molto più che vivere
per mezzo di nostro Signore. E vivere in Cristo, vivere nell’unità di un medesimo Spirito con nostro Signore, è molto di più che vivere in compagnia di Gesù.

Dobbiamo vivere la nostra vita soprannaturale prima di tutto imparando a vivere per mezzo della grazia di nostro Signore. Che cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire sentire, realizzare la nostra impotenza sul piano soprannaturale. E’ giusto quello che si pensava prima, che cioè la santità non è per noi: se il Signore non ci soccorre, se non viene e la rende possibile, da noi stessi non siamo capaci nemmeno di un solo pensiero soprannaturale.
Con tutti i nostri sforzi non potremmo raggiungere nemmeno il minimo grado di grazia.

E’ sempre un dono di nostro Signore la vita soprannaturale; è sempre per mezzo di Lui che viviamo

Come sul piano naturale noi non saremmo se Dio non ci avesse creati, così non potremmo vivere mai una vita soprannaturale se Gesù non ci avesse meritato la grazia con la sua morte di croce. La nostra vita soprannaturale, dunque, dipende essenzialmente da nostro Signore. Non c’è nulla da fare: è un dono che ci deriva da Lui; è per mezzo di Lui soltanto che noi possiamo vivere; e noi dobbiamo saperlo. Dobbiamo riconoscerlo, viverlo, sentirlo.

Crederlo, prima di tutto: perché se noi presumiamo di vivere una vita soprannaturale basandoci sulle nostre forze, Dio non permetterà che possiamo mai realizzare qualcosa, non dico sul piano soprannaturale, ma neanche sul piano di un nostro perfezionamento umano. Quanti propositi noi abbiamo fatto nel passato senza riuscire mai a nulla! Perché? Perché ci fidavamo di noi. Avevamo troppa fiducia in noi stessi, nella nostra buona volontà, nel nostro impegno religioso, e allora il Signore ci abbandonava a noi stessi, e noi sperimentavamo così la nostra debolezza e la nostra impotenza. Tanti più propositi facevamo, tanto più ci rompevamo la testa col ricadere sempre negli stessi
difetti e magari in difetti anche più grandi di prima. Perché? Perché la vita soprannaturale non ha altro fondamento che l’umiltà: il riconoscimento, cioè, di una nostra assoluta impotenza. La vita
soprannaturale dipende da Cristo: è per mezzo di Lui che viviamo. E’ un dono della Sua grazia: “Per Ipsum”.

Tutto è per mezzo di Lui.

Dobbiamo riconoscerlo fin dall’inizio. Ma il riconoscerlo non è per noi un motivo di pena e neanche di sgomento; perché se è per mezzo di nostro Signore che viviamo, dobbiamo anche renderci conto che il Signore non ci fa mancare questa grazia: Egli l’ha meritata per tutti e a tutti la vuol donare largamente. Sta a noi chiederla, implorarla, riconoscere la nostra impotenza, per ottenere da Dio la forza necessaria all’adempimento della sua volontà, per chiedere a Lui la grazia di vivere come Egli vuole da noi. Dunque il fondamento di tutta la vita spirituale sta nell’umiltà di chi riconosce il suo nulla e si affida a Dio, o piuttosto, a nostro Signore, che è il Salvatore, che è la causa della nostra
salvezza.

Noi dobbiamo vivere con nostro Signore: “CON CRISTO”

Vivere in compagnia di Gesù. Vivere in Lui come Lui vuol vivere in noi, vivere nell’unità dello Spirito con nostro Signore è una pretesa troppo grande per noi. Contentiamoci di vivere con nostro Signore, in compagnia di Lui. E’ già bella, è già una cosa grande, consolante per noi che sia possibile
vivere in compagnia continua con Colui che è il Figlio di Dio e che si è fatto uomo proprio per essere il nostro compagno, il nostro fratello ed amico, il nostro sposo.

“Cum Ipso”. Dobbiamo vedere allora tutte le azioni della nostra vita ordinaria: come viverle in compagnia di Gesù. Non immaginandoci che Egli sia presente con noi, vicino a noi, perché a un certo momento potremmo dirci: “Ma tutte queste sono cose sognate, non sono vere!”. Non così; rendiamoci conto che Lui veramente ha vissuto la nostra medesima vita. Noi possiamo vivere la nostra vita umana con Lui perché Lui già l’ha vissuta, e l’ha vissuta precisamente per unirsi a noi che avremmo vissuto quel medesimo atto, che avremmo compiuto le stesse cose, che saremmo passati attraverso gli stessi doveri.

Possiamo farci queste domande: come mangiare con Gesù? Perchè Gesù ha mangiato: quante volte ne parla il Vangelo! Era invitato spesso dai farisei, dagli scribi… Sembra che il Vangelo si compiaccia di parlare di tutti i buoni inviti che il Signore riceveva. E il Vangelo ci parla di quando Lui dormiva, di quando camminava…: sono azioni comuni: non le fate anche voi? A meno che voi, come i santi, non
siate sottratti alle leggi ordinarie della vita umana… Alcuni santi ne sono stati sottratti, ma Gesù non ha voluto sottrarsi a nessuna legge della vita umana: ha dormito, come dorme ognuno di noi.
E siccome tante volte non aveva tempo di dormire di notte perché pregava, si addormentava poi nella barca. Nostro Signore dormiva, mangiava, passeggiava, parlava. Era stanco, era affamato, provava la pena e la gioia. Aveva rapporti diversi con le diverse persone: era figlio verso la madre;
era il maestro verso i discepoli; era l’amico con gli intimi; era lo sposo per la Maddalena; era Colui che perdona per il peccatore, Colui che risana per il malato
. Ha voluto conoscere tutto, e ha conosciuto le schiavitù proprie della nostra condizione umana.
Una cosa sola Egli non ha conosciuto: il peccato. Ma neppure noi siamo obbligati a conoscerlo, e il Signore ci dà la sua grazia perché non dobbiamo cadervi. Noi possiamo vivere la nostra vita con Dio perché Gesù è vissuto con noi. Non è una immaginazione, è un fatto reale. Dio realmente vive la nostra vita. Vivendo la nostra vita soprannaturale in Cristo, la nostra unione con Lui non implica un sottrarci alle esigenze comuni proprie dell’esistenza terrena, non implica che non sentiamo più fame e sonno, che non dobbiamo parlare con la nostra vicina di casa, o fare una passeggiata in campagna.
Gesù ha vissuto la nostra medesima vita perché noi possiamo vivere ora la nostra con Lui.

Dobbiamo allora domandarci come vivere il nostro alzarci al mattino, il primo lavoro che compiamo nella casa, il nostro rapporto con gli uomini, con gli intimi di famiglia, coi vicini, con coloro con i quali ci incontriamo e che poi forse non vedremo più. Dobbiamo vedere come possiamo vivere il nostro pranzo, la nostra colazione, il nostro riposo, la nostra ricreazione.

Come vivere questi atti insieme a Gesù?

La prima cosa che si impone è che noi ci rendiamo conto che questa comunione con Cristo è possibile. Vivendo una sola volta nel tempo, vivendo soltanto nella Galilea, Egli però si è fatto intimo a tutti. Quando è divenuto il compagno degli uomini di allora, Egli aveva presente anche me. In Maddalena ero io che ero presente a Gesù, ed Egli mi vedeva e mi amava: me voleva, me chiamava quando, risorto la morte, la chiamò: “Maria!” (Gv 20,16). Quando camminava insieme ai discepoli e parlava loro, dando quell’insegnamento sul Regno di Dio che i Vangeli ci hanno conservato, è con me che parlava, era di me che voleva essere maestro. Quando a tavola Egli era coi suoi e mangiava con loro, io ero coi discepoli, a me Egli si rivolgeva; Lui stesso con le sue mani mi porgeva il pane e il vino; ero nel suo pensiero nel suo cuore in quel momento… Ognuno di noi era in quel momento con Lui. Fisicamente erano presenti i Dodici, ma al pensiero del Cristo, Figlio dell’uomo, io non ero assente. Ero presente nella Maddalena, in Zaccheo, in Giovanni: e quello che diceva a ognuno di loro lo diceva a me.

Ora debbo dunque vivere il mio rapporto con Cristo così come Egli lo visse con me duemila anni fa nella sua vita mortale. Certo ora, risorto da morte, Egli non vive più la mia condizione umana; non è sottoposto al dolore, alla fame, al sonno. Egli vive la vita divina anche nella sua umanità. Questo è in fondo il mistero della vita cristiana: che Gesù mi ebbe presente in ogni istante della sua vita; il tempo e lo spazio non impediscono questa nostra contemporaneità col Signore. Ora io, vivendo la mia povera vita, posso vivere esattamente la vita di Gesù: quel contatto che ebbero i discepoli col Maestro, la donna perduta col suo Salvatore, gli amici con l’Amico, i malati col Medico, la sposa
col suo Sposo divino, la madre col Figlio suo. Posso vivere tutto questo perché ognuno di noi veramente in rapporto a Cristo è Pietro, è Giovanni, è Zaccheo, la Maddalena, Maria. Ugualmente
Gesù verso di me vive il rapporto che visse con Giovanni, con Zaccheo, con Simone, con tutti quelli che si incontrarono realmente con Lui nella sua breve vita mortale.

Vivere in compagnia di Gesù! E’ questo la vita soprannaturale: non è nulla di complicato! E si direbbe che non è nemmeno nulla di difficile. Dio l’ha resa non soltanto estremamente facile e bella, perché è una vita di amore, di comunione continua, è una vita insieme. Se noi viviamo così la vita cristiana, diviene anche facile. E’ mai possibile negare al Signore quello che Egli ci chiede, se Egli è veramente presente nell’attimo in cui viviamo quel sacrificio che ci viene comandato?

Vivere con nostro Signore: ecco tutto. Dobbiamo essere veramente sicuri di questo; non è un’illusione. Non solo ora Egli, come Verbo di Dio, ci vede nel Padre; non soltanto ora, come Verbo di Dio, nella sua umanità glorificata può avere un rapporto con tutti noi; ma, in un modo certo estremamente misterioso, Lui che era Dio ci ebbe presenti in ogni momento della sua vita: tutti noi. Ci ebbe presenti e noi viviamo nel suo ricordo, nel suo amore. In ogni suo atto mi ebbe presente; e mi ebbe presente come se io fossi stato il solo che Egli amava! Egli era presente a tutte le anime, presenti e future, eppure presente a ciascuna come se ciascuna fosse unica al suo amore infinito.

In ogni atto io posso vivere la mia comunione con Cristo, come se Egli avesse vissuto allora questo stesso atto unicamente per me, come se questo atto stabilisse un suo rapporto con me soltanto. Quando mi alzo, quando mangio, quando cammino, sempre Lui mi è presente. Non vi è atto della mia vita in cui io non debba rivivere un atto della sua vita, in cui non debba rivivere un ricordo – per lo Spirito Santo, ma un ricordo veramente efficace – della sua vita. Tutta la vita cristiana che cos’è, se non la presenza stessa del mistero del Cristo? Oggi Egli ci parla, mangia con noi, se noi abbiamo fede, se ritorniamo a vivere quell’atto e a farlo presente nella sua divina efficacia.
In che consiste allora la vita soprannaturale? Vi dirò quello che mi diceva un sant’uomo che ho conosciuto a Napoli nel 1935, don Russolillo: “La migliore vita dei santi non è quella che hanno scritto i loro discepoli: è il Vangelo. Il Vangelo non è soltanto la vita di Gesù, è la vita di ogni santo”. Non solo, si noti, perché ogni santo “in Ipso” è il prolungamento del Cristo, ma perché prima di essere questo, ogni santo ha vissuto con Cristo; ogni santo è stato la Maddalena, è stato Giovanni, Zaccheo perdonato da Gesù, è stato il paralitico guarito da Gesù; ogni santo partecipa di tutti i rapporti che Gesù ha avuto con coloro di cui il Vangelo ci parla.

Allora io posso davvero vivere la mia vita con Cristo perché già Cristo ha vissuto questa mia vita con me. Vedete dunque com’è semplice la vita soprannaturale, la cristiana? Vivere con nostro Signore: che non significa vivere questa compagnia di Gesù come immaginata da noi. Lui è qui! O piuttosto io sono sulla strada che porta al pozzo di Sicar quando cammino; sono nella casa di Betania quando prego e ascolto la sua parola; sono nel Cenacolo quando mangio e vivo nell’intimità di un amore
fraterno; sono nella Galilea e cammino con Cristo. Gesù mi aveva presente e io debbo rivivere ora quell’atto; debbo rivivere ora quella grazia che Lui mi ha meritato, che Lui già mi ha donato vivendo con me in quel momento, parlandomi, risanandomi, perdonandomi, chiamandomi per nome, donandomi la sua intimità, come la donava ai suoi Apostoli.

Rivivere tutto questo! L’universo è grande, la creazione è grande, lo spessore del tempo sembra quasi infinito: centinaia di migliaia di anni dacchè l’uomo vive quaggiù sulla terra! Eppure, tutta questa storia si riassume nella mia piccola vita, in questo mio piccolo atto. Tutta la creazione non sono che io, perché Dio, come ha voluto tutto, così ha voluto anche a me. In modo uguale, come se io fossi l’unico che Egli ama.

Per Dio, è come non esistessi che io; e non esiste per me che Lui. Tutta la creazione è fatta perché io viva con Lui, tutto il tempo è fatto perché maturi questa mia intimità col Signore. Certo, rimane la realtà della creazione, la realtà della storia, ma rimane anche vero che Dio è tutto per me, così come io debbo esser tutto per Dio. Perciò è giusto quello che dice Giovanni della Croce: che dobbiamo dimenticarci di tutto, come non fosse, perché tutta la nostra vita non è più che Dio. Vivere con Lui vuol dire vivere già in una tale pienezza di amore che non c’è più posto per cosa alcuna.

Dio riempie ogni vuoto

Il Cristo già riempie tutti gli spazi. La mia unione con Lui, il mio rapporto con Lui è già il contenuto di tutta quanta la storia. Non c’è più nessun’altra storia: c’è questa mia vita con Lui.
Di fatto, quando noi vivremo pienamente la nostra unione con Cristo, la storia sarà finita. Qual è l’atto dell’eternità, che è la consumazione di tutta la storia? La mia unione con Dio; ma io, vivendo la mia unione con Cristo, già realizzo tutta la storia in un solo atto: realizzo in qualche modo tutto il valore della creazione nel mio rapporto con Lui. Io e il mio Dio, nell’intero universo più nulla: diceva il Newman. E’ vero anche per te, è vero anche per me: se io vivo con Cristo mi basta. Vivere con nostro
Signore. “Cum Ipso”.

Fonti:
La mia giornata con Cristo – Divo Barsotti
Don Valentino Viganò

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